Gli affreschi di Filippo Randazzo nella chiesa del Crocifisso a Montemaggiore Belsito

di Salvatore Farinella©, pubblicato in S. Farinella (a cura), Atlante dei Beni Culturali in pericolo delle Madonie, Palermo 2004 e in Espero, 3 maggio 2007 

Filippo Randazzo e Francesco Ferrigno, Esaltazione della croce, 1732
Filippo Randazzo e Francesco Ferrigno, Esaltazione della croce, 1732

Uno dei più interessanti pittori del Settecento siciliano è senza dubbio Filippo Randazzo, e fra le sue opere più degne di attenzione c’è senz’altro il ciclo di affreschi che decora la chiesa del Crocifisso a Montemaggiore Belsito: un’opera non priva, come del resto gran parte delle memorie artistiche del comprensorio madonita, di quegli elementi di degrado che ne compromettono la conservazione.

Montemaggiore Belsito è un paese delle basse Madonie che sembra avere origine lungo il pendio del monte Roccellito in epoca medievale: secondo la tradizione, l’abitato sarebbe sorto in prossimità di un monastero cluniacense edificato in un luogo che avrebbe preso il nome dall’abbazia benedettina di Saint Pierre di Montmajour, dalla quale il monastero avrebbe avuto origine. L’esistenza di un fortilizio in età normanna sembra invece attestata nel 1159 dalla presenza di un certo Gervasins de Monte Majori, mentre agli inizi del Quattrocento è chiara l’esistenza di un casale che si evolverà nell’odierno centro abitato.

Qui nel 1676 venne costruita la chiesa del SS. Crocifisso, per volere della principessa Lucrezia Migliocco che fece edificare l’edificio in maniera tale da inglobare nella sua struttura la primitiva cappella che conservava un pregevole crocifisso ligneo. A decorare la volta, nella prima metà del Settecento, venne chiamato il pittore Filippo Randazzo che in quel torno di tempo si trovava a dipingere fra Palermo e Termini Imerese.

Soprannominato il Monocolo di Nicosia, per via di un evidente difetto fisico, il Randazzo nacque nella cittadina dell’ennese nel 1695: ancora adolescente ebbe la possibilità di recarsi a Roma presso la bottega di Sebastiano Conca, uno fra i più rinomati artisti di quell’epoca. Rientrato a Nicosia intorno al 1725, dopo un breve periodo Filippo si trasferì a Palermo, meta ambita di tutti gli artisti e fucina dell’arte pittorica isolana: qui decorò diverse chiese, spostandosi di tanto in tanto presso chiese e monasteri del palermitano, del trapanese e dell’agrigentino.

Il ciclo di affreschi di Montemaggiore copre sia la volta che le pareti della chiesa del Crocifisso, compreso il pronao d’ingresso: i dipinti sono datati 1732 e oltre a quella del Randazzo (in cui compaiono le iniziali F.R.) si nota anche la firma di don Franciscus Ferrigno Architectus. L’impianto compositivo è dedotto dalle coeve decorazioni proposte da artisti come Guglielmo Borremans, Gaspare Fumagalli, Vito D’Anna, Pietro Martorana: al centro della volta è la grande cornice a forme sinuose che raffigura l’Esaltazione della Croce, tema principale della chiesa. Mentre un gruppo di angeli e cherubini porta in gloria la Santa Croce di Cristo, in basso stanno i santi Elena e Costantino artefici del culto: le pareti e il vestibolo d’ingresso sono interessate da altre scene e scorci di paesaggio racchiusi in eleganti cornici a sfondati architettonici, propri della cultura pittorica del tempo.

I pregevoli affreschi, testimonianza dell’opera di “uno dei migliori artisti siciliani del suo secolo” (Sgadari di Lo Monaco), si presentano in uno stato di avanzato degrado, causato in maggior parte dalle abbondanti infiltrazioni d’acqua dalla volta: in varie parti i dipinti presentano vistosi distacchi del supporto di intonaco, notevoli cadute della  pellicola pittorica, diffuse efflorescenze saline e una presenza di fessurazioni che interessano parte dei dipinti, oltre a fenomeni degenerativi innescati da fattori termoigrometrici.

Il ciclo di affreschi di Filippo Randazzo nella chiesa del Crocifisso a Montemaggiore Belsito, opera pregevole della cultura artistica del Settecento, allunga dunque il già triste elenco di memorie d’arte in bilico fra l’oblio e la definitiva scomparsa, fra la comprensibile difficoltà di chi conserva l’opera a porre rimedio e il sempre meno comprensibile disinteresse di chi, invece, potrebbe spendersi e spendere un po’ di più verso il nostro patrimonio artistico.