La torre "dei Ventimiglia" a Gangi

di Salvatore Farinella©, pubblicato in Paleokastro n. 5, 2001

Nota come la "torre dei Ventimiglia", la struttura architettonica è oggi collegata alla chiesa madre della quale costituisce torre campanaria: esempi coevi di torri di tal genere si trovano sparsi un po’ ovunque, in Sicilia, dalla vicina Nicosia alle madonite Assoro, a Isnello, San Mauro Castelverde e ancora a Enna e nella più lontana Erice.

In origine però la torre di Gangi era isolata dalla chiesa di San Nicolò, come confermano i resti di modanature delle finestre che si aprivano sulla facciata orientale prima di essere inglobata dall'edificio chiesastico. Benché non si conosca ancora alcuna notizia circa il periodo in cui la torre venne costruita tuttavia, sulla base di alcuni raffronti stilistici, è possibile inquadrarne l’edificazione nel corso del XIV e del XV secolo, quando Gangi era appunto sotto la signoria dei Conti di Geraci: per questo motivo la nostra torre è detta "dei Ventimiglia".

La torre si innalza per due piani su un quadriportico con fornici ogivali passanti, coperto da una volta a crociera costolonata con chiave pendula: originariamente la torre si concludeva con una terrazza dotata di merlature, sostituita nella metà dell'Ottocento dall'attuale terza elevazione.

Nel suo studio sull'architettura siciliana del Trecento, lo Spatrisano datò le finestre a bifora del primo piano della nostra torre al XIV secolo, mentre per il secondo piano propose una datazione al XV secolo (1); è possibile però asserire, sebbene in via del tutto ipotetica, che la parte basamentale possa essere cronologicamente riferita alla metà del XIII secolo, quando forse assolveva alla funzione di porta urbica.

I primi due piani della torre sopra il quadriportico vennero probabilmente innalzati fra la seconda metà del Trecento e la prima metà del Quattrocento. Da un punto di vista stilistico le bifore del primo piano possono essere accostate a quelle del palazzo del Duca di Santo Stefano a Taormina, probabilmente coeve a quelle della nostra torre.

Bifora della torre "dei Ventimiglia" (foto S. Farinella©)
Bifora della torre "dei Ventimiglia" (foto S. Farinella©)

Riguardo alla destinazione d’uso e al ruolo svolto dalla torre nel contesto urbano della piazza, siamo convinti che essa funzionasse da tocco, ossia da torre civica adibita a particolari funzioni e adunanze o anche per ospitare il signore feudale e la sua corte affinché potesse assistere a rappresentazioni e manifestazioni che si svolgevano nella piazza sottostante (2). L’accesso alla torre era garantito da una scala (in pietra o in legno) addossata sulla facciata orientale (quella che venne inglo-bata dalla chiesa madre), come attesta l’apertura interna murata al primo piano: unico trait-d’union con la chiesa quando la torre era ancora isolata era il portico meridionale, la cosiddetta pinnata, che doveva accostarsi al basamento della torre.

Più tarda è invece la datazione della struttura proposta dal Bellafiore; egli infatti, collegandola stilisticamente ai palazzi-torre della Badiazza e del duca di Santo Stefano di Taormina, ne colloca la costruzione agli inizi del Quattrocento, assegnando alla torre di Gangi la funzione residenziale propria di queste torri palaziali (3): funzione quest’ultima che non può essere però condivisa, se si tiene conto del fatto che quale propria dimora il feudatario e la sua famiglia disponevano già del castello edificato poco più a monte rispetto alla nostra torre. L’assoluta mancanza di vani di servizio e la presenza di un solo ambiente per ogni piano della torre (peraltro dimensionalmente limitato) porterebbero, poi, ad escludere una funzione precipuamente abitativa del manufatto per palese insufficienza di vani

Nonostante la parte basamentale potesse costituire in origine uno degli accessi alla cittadina medievale, è possibile invece ipotizzare che la torre di Gangi detta dei Ventimiglia svolgesse una funzione di torre civica e che servisse a ospitare, nelle sue stanze, pubbliche funzioni: le riunioni degli organi di governo della cittadina e le udienze, l'espletamento delle aste pubbliche o ancora l'amministrazione della giustizia.

Successivi ampliamenti della chiesa madre (avvenuti fra XVI e XVII secolo e poi ancora nel XVIII secolo) determinarono l’inglobamento della torre alla stessa chiesa. Già dal 1575 (4) infatti (ma forse anche da prima) l'antica torre era considerata come torre campanaria dell'edificio religioso, nonostante in quel momento essa risultasse ancora isolata dalla chiesa: questa nuova funzione venne ancor più accentuata dalla collocazione delle campane e, nel XVII secolo, di un orologio meccanico segnatempo, di cui si notizia in alcuni documenti dell'epoca.

Un'edicola in pietra, ricostruita e posta sull’arco del fornice settentrionale, doveva recare scolpito lo stemma della città o quello dei Ventimiglia (5).

La torre "dei Ventimiglia" nei primi del Novecento (foto archivio S.Farinella©)
La torre "dei Ventimiglia" nei primi del Novecento (foto archivio S.Farinella©)

L'antichità e il valore storico architettonico della torre indusse l'Università prima, la parrocchia di San Nicolò poi e infine la Soprintendenza ai Beni Monumentali a eseguire diversi lavori di restauro e di consolidamento, l'ultimo dei quali attuato nella prima metà del XX secolo su progetto di Giuseppe Valenti, già Soprintendente della Regia Soprintendenza ai Monumenti di Palermo nella prima metà del Novecento.

E’ datata infatti 27 dicembre 1921 la relazione di Giuseppe Valenti per il restauro della torre dei Ventimiglia di Gangi (6). Alla formulazione del progetto di restauro si arrivò "dopo laboriose pratiche per far dichiarare monumento nazionale la torre": così si legge infatti nella delibera consiliare n. 10 del 12 febbraio 1922, con la quale il Consiglio Comunale varava i "Provvedimenti per il restauro della torre campanaria".

Dopo una breve sintesi storica sulle origini dell'abitato di Gangi (per la verità piuttosto fragile dal punto di vista storiografico), il Valenti descrisse lo stato della torre alla data della sua ricognizione: la struttura mostrava la scala interna di collegamento fra i due piani non più esistente, la bifora del secondo piano (quello che il Valenti definisce 3° ordine) volgente a nord-ovest era deturpata da un orologio meccanico che occupava l'intero campo centrale, mentre l'ultimo piano appariva incompleto. Quest'ultima circostanza fece pensare al Valenti che proprio questo quarto ordine potesse servire ad installare l'orologio presente nella bifora sottostante.

La torre era pure priva di copertura, ingombra di macerie e richiedeva urgenti opere di consolidamento: diffuse lesioni furono notate dal Valenti in tutto il secondo piano della torre causate, come egli stesso ebbe a scrivere, dalle continue infiltrazioni di acqua piovana che indebolivano le murature. L’importo stimato dei lavori fu di 16.800 lire, delle quali 15.366 lire a base d'asta e 1.434 lire per imprevisti.

Non sappiamo se i lavori di restauro della torre siano stati eseguiti così come li previde il Valenti, giacché non siamo in possesso degli atti relativi: tuttavia, dalle odierne condizioni della costruzione, sembra che alcune delle sue previsioni (ad esempio il tetto a padiglione ipotizzato dallo stesso Valenti previsto nel progetto) non vennero attuate, nonostante il tipo di intervento fosse particolarmente puntuale. In un successivo intervento di qualche decennio fa i solai furono integralmente rifatti in latero-cemento.

Ancora oggi l'antica torre rappresenta il simbolo della coscienza civica del popolo gangitano che sotto le sue arcate, dopo circa sette secoli, ritrova quei momenti di aggregazione sociale e culturale mai dimenticati.

Note

 

1 G. Spatrisano, Lo Steri di Palermo e l’architettura siciliana del Trecento, Palermo 1972. Riguardo alla datazione delle finestre del primo piano della torre l’autore si riferisce a E. Maganuco, Problemi di datazione, Catania 1942, p. 17-25.

2 Ipotesi confermata dalla relazione di Francesco Valenti per il restauro della torre di cui si dirà nel prosieguo.

3 G. Bellafiore, Architettura in Sicilia (1415-1535), Palermo 1984, p. 82. Mentre il Maganuco assegna alle finestre a bifora del palazzo del duca di Santo Stefano stilisticamente analoghe a quelle della torre di Gangi la datazione di queste ultime, il Bellafiore sembra procedere nel senso inverso proponendo un accostamento formale e una datazione per la torre di Gangi partendo dai palazzi-torre taorminesi. Interessante è la datazione del palazzo del Duca di Santo Stefano di Taormina proposta dal Di Stefano che, pur confutando la datazione al XII secolo offerta da alcuni studiosi e la datazione al XIV e XV secolo proposta da altri autori, riconoscendo nelle bifore del palazzo un “presupposto di gusto gotico“, non negando tuttavia legami con la tradizione arabo-normanna, in un'ipotesi provvisoria ne data l’impianto alla prima metà del XIII secolo in periodo, dunque, pienamente svevo: cfr. G. Di Stefano, Monumenti della Sicilia normanna, seconda edizione aggiornata e ampliata a cura di W. Kronig, Palermo, p. 130-131.

4 ASCG, Fondo notarile, notaio E. Di Salvo, atto del 5 dicembre 1575 c. 163v-164. Nel contratto di vendita l'onorabile Joseph Yintilj dichiara che la sua casa è posta "in strata suptus pinnaculum R(everende) maioris ec(les)ie".

5 Una tradizione storiografica locale, non supportata da alcuna documentazione storica, indica che l’edicoletta in pietra posta sul fornice della facciata settentrionale della torre portava scolpito lo stemma dei Cavalieri di Malta ai quali, nel 1533, Carlo V di passaggio a Gangi volle concedere metà del paese per i servigi resi durante la campagna di Tunisia: quell’edicola avrebbe segnato, quindi, il confine fra la metà dell’abitato rimasta ai Ventimiglia e la parte donata all’Ordine. Da alcuni documenti rileviamo che i Cavalieri di Malta avevano una propria commenda a Gangi fin dal XIV secolo, circostanza questa che giustifica la tradizionale presenza dell'Ordine cavalleresco nella nostra cittadina ma che comunque non conferma l’ipotesi dello stemma dei Cavalieri posto sul fornice settentrionale della torre.

6 Biblioteca Comunale di Palermo, Fondo Valenti, manoscritto 5 Qq E 142 n. 1 c.