Frate Egidio da Mola, il “santo” che liberava dalla peste. Storia e vicende di un frate cappuccino protagonista nel 1625 a Gangi di un “successo maraviglioso” e mai elevato agli onori degli altari

di Salvatore Farinella©, testo inedito tratto da S. Farinella, Il “beato” Egidio da Mola e santa Rosalia: due Santi per una peste. Straordinari prodigi, sane devozioni e inquietanti risvolti nelle Madonie del Seicento, fra l’inventione di santa Rosalia, un frate cappuccino mai canonizzato, la peste e altri accadimenti, di prossima pubblicazione

Il cozzo San Pietro Martire (foto S. Farinella©9
Il cozzo San Pietro Martire (foto S. Farinella©9

 

Una strada denominata via Beato Egidio, un quadro eseguito nel tardo Ottocento da un modesto pittore siciliano e un sacello nella chiesa madre ricordano a Gangi la figura di un frate cappuccino vissuto nell’ultimo quarto del Cinquecento ma resosi noto nella società e nella compagine ecclesiastica siciliana allo scadere del primo quarto del Seicento: morto durante l’epidemia di peste del 1575/76 il frate si rese protagonista nell’altro contagio del 1624/25 con un avvenimento che ha e dell’incredibile.

La vicenda ebbe inizio mercoledì 19 marzo 1625, giorno di san Giuseppe, quando «occorse nella Provincia [Cappuccina] di Messina un successo maraviglioso, il quale ci obbliga a darne qualche contezza [...]». Il “successo meraviglioso”, che avvenne a poca distanza da Gangi, riguardava il ritrovamento del corpo di un frate cappuccino laico, deceduto mezzo secolo prima (1576) e sepolto in aperta campagna nei pressi di una chiesetta (dedicata a san Pietro Martire). I fatti si svolsero nel furore della peste che da alcuni mesi travagliava gran parte della Sicilia e proprio nello stesso tempo in cui la Chiesa palermitana proclamava la liberazione dell’isola dal flagello ad opera della gloriosa santa Rosalia. L’avvenimento di Gangi suscitò tuttavia scalpore e diede inizio a una serie di straordinarie guarigioni.

Protagonista di questa singolare vicenda fu frate Egidio, francescano del convento di Gangi ma originario di Castel Mola vicino Taormina (e non da Mola di Puglia come improvvidamente sostenuto recentemente sul web da alcuni che sbagliano peraltro anche il riferimento al convento dei Cappuccini di Gangi pubblicando il terzo edificio realizzato a ottant’anni di distanza dai fatti): un documento del settembre 1625 lo indica infatti chiaramente come «beati egidij dela mola di tauromina» [1]. Non sappiamo se «i suoi genitori erano devoti di San Francesco e seguaci della sua lectio spiritualis» e se «diedero al figlioletto il nome di un fedele compagno [di san Francesco]», come sostenuto recentemente (dove sono i documenti in merito a queste questioni ?), ma di certo sappiamo che egli visse nel primo convento che i Cappuccini edificarono dal 1572 a Gangi e che probabilmente fece parte del primo nucleo di frati che, provenienti da Messina (dov’era la Provincia cappuccina alla quale il borgo di Gangi apparteneva), fondarono quella comunità religiosa in una contrada fuori le mura del borgo e nei pressi di uno snodo viario che dalla struttura conventuale venne chiamata “Celle” [2].

Come attestano i numerosi documenti d'archivio e le fonti agiografiche dell’Ordine Cappuccino, frate Egidio morì insieme ad altri confratelli nell’epidemia di peste del 1575/76, dopo avere curato gli appestati al lazzaretto che era stato costruito nei pressi della chiesa dello Spirito Santo e non, come indicato dagli autori locali e pure recentemente, «nei pressi dell’appena ultimato convento cappuccino […] località [che] ancor oggi si chiama Piano Ospedale»: i documenti attestano inequivocabilmente che il «Lazzaretto [era] alle stantie vicino l’ecclesia del Spirito Santo» [3] e che la contrada Piano Ospedale era così chiamata già almeno dal 1512 - «qontrata que dicitur lo chiano del hospitale» -, oltre sessant’anni prima del contagio [4]. Nell’epidemia di quegli anni morirono parecchie persone, ma di certo non il notabile Jo Federico Fisauli che non morì un anno prima di frate Egidio (1574, come ancora sostenuto da alcuni) ma diversi anni prima (fra il 1565, anno del suo testamento, e il 1566, anno in cui la figlia Elisabetta si investì del feudo Casalgiordano di cui Jo Federico era titolare), considerato fra l’altro che nel 1568 la moglie Melchiona si era già risposata con lo spagnolo Baldassar del Castillo [5]. 

Frate Egidio da Mola in un dipinto ottocentesco (foto S. Farinella©)
Frate Egidio da Mola in un dipinto ottocentesco (foto S. Farinella©)

Il rinvenimento miracoloso dei resti del frate durante la seconda epidemia di peste (1625) riportò Egidio da Mola alla ribalta per alcuni mesi, e ancora per alcuni anni, fino a quando la sua memoria ritornò di nuovo nell’oblio. La sua vicenda, in quei circa nove mesi (da marzo a ottobre) del 1625, ebbe dell’incredibile e dello straordinario e si intrecciò, inevitabilmente, con la vicenda di santa Rosalia che proprio nel febbraio di quello stesso anno diveniva la Santa patrona di Palermo e "colei che liberava la Sicilia dalla peste".

Il ritrovamento del corpo del frate (così come quello di Rosalia) avvenne in maniera eccezionale attraverso una serie di sogni premonitori, apparizioni e alcuni eventi incredibili: fin da subito vennero testimoniati casi di guarigione sia dalla peste che da altri mali per intercessione del frate, che fin dai primi momenti nell’immaginario collettivo assunse i connotati del santo venendo invocato dal popolo come “beato”. A confermare i “miracoli” (oltre ottanta) vi furono persone del popolo ma anche gente di provata fede (sacerdoti e religiosi) e uomini di scienza (medici e “speziali” ossia farmacisti): ciononostante le autorità si mostrarono scettiche, tergiversando e temporeggiando sulla traslazione dei poveri resti in luogo sacro. Ad ogni modo, alla fine di aprile di quell’anno 1625 ebbe inizio timidamente una prima ricognizione delle numerose testimonianze di guarigione che si susseguirono ininterrottamente in quelle settimane convulse: testimonianze che vennero raccolte nella Corte Spirituale di Gangi col consenso della Curia Arcivescovile di Messina da cui il borgo ecclesiasticamente dipendeva.    

Frate Giuseppe Volo in un dipinto ottocentesco (foto S. Farinella©)
Frate Giuseppe Volo in un dipinto ottocentesco (foto S. Farinella©)

Solo dopo diversi giorni il corpo del frate venne traslato alla chiesa dello Spirito Santo, ai piedi del paese: ma a settembre di quello stesso anno, a sette mesi dal rinvenimento, i resti non avevano ancora avuto degna sepoltura in chiesa madre. Anzi, dopo che a giugno era giunta nel borgo la reliquia di santa Rosalia, accolta con grande trepidazione dal popolo e dai maggiorenti, si era venuto a sapere che, stranamente e con una procedura anomala, le spoglie del frate erano “custodite” … presso la casa di un privato ! Un nuovo straordinario prodigio contribuiva però a risolvere la questione: a cambiare gli eventi era infatti il miracoloso ritorno alla vita - per poche ore - di un giovane frate della stessa comunità cappuccina di Gangi, frate Giuseppe Volo (fratello del sacerdote don Francesco) morto di peste alla fine di settembre di quello stesso anno 1625. Fra la predizione di morti imminenti che avvennero puntualmente (quella di Marino Nasello che non era un “magnifico” né un “barone” - come scritto dal Nasello, omonimo del nostro, e dall’Alaimo e più recentemente da altri col sistema “copia e incolla” - ma un intraprendente imprenditore agricolo, cognato di uno dei maggiorenti che gestì tutta la vicenda, eletto in quella occasione deputato alla sanità) e la minaccia del catastrofico inasprirsi del morbo, venne tuttavia annunciata la liberazione del popolo dalla peste se il corpo di frate Egidio fosse stato tolto dalla casa del privato e sepolto in chiesa madre. I resti del frate vennero così portati in solenne processione e deposti in un luogo segreto in chiesa madre, mentre la peste si trascinava fino al mese di gennaio dell’anno seguente per poi scomparire del tutto: le guarigioni attribuite all’intervento di frate Egidio si verificarono ancora negli anni seguenti e fino ai primi del Settecento quando il corpo venne traslato accanto all’oratorio dei Cappuccinelli. In seguito (nella prima metà dell’Ottocento) i resti avrebbero trovato definitiva sepoltura nel transetto della maggiore chiesa, nella scalinata di destra che conduce al presbiterio, dove tuttora si trovano.   

 

... continua

Note

 

[1] Mi scuso se in questo articolo non dò i riferimenti archivistici dei documenti, limitandomi - per ovvi motivi legati alla pubblicazione dello studio - solo a riportare brani tratti dagli stessi documenti: i riferimenti completi potranno essere verificati direttamente nel libro non appena esso verrà pubblicato.  

[2] Sul primo convento dei Cappuccini a Gangi si veda S. Farinella, Gangi. Il primo convento dei Cappuccini, in «Espero», 1 maggio 2008.

[3] Testimonianza di uno degli appestati del 1576 (mastro Cristoforo Vassallo) nel processo per la ricognizione dei “miracoli” di frate Egidio da Mola.

[4] Riguardo alla denominazione “Piano Ospedale” data alla contrada rimando a S. Farinella, Gangi. La Storia. Dal Medioevo al Novecento. I. Dall’ipotesi di fondazione normanna alla fine del Medioevo (XII-XV secolo), in corso di pubblicazione.

[5] Sulla famiglia del Castillo e sui Fisauli si rimanda a S. Farinella, Una famiglia spagnola nella Sicilia del Cinquecento e del Seicento. I Del Castillo. Dal Governatorato di Gangi ai Marchese di Sant’Onofrio e di Sant’Isidoro, studio in corso di redazione. Su Jo Emanuele Fisauli, nipote di Jo Federico, nessun documento indica che avesse una figlia.